Durante l’ultima assemblea nazionale di Confartigianato Imprese, tenutasi lo scorso 22 novembre, è stato presentato il 17° rapporto annuale, dal titolo “Imprese nell’età del chilowatt-oro”, che fotografa lo stato dell’arte di più di 4 milioni e duecentomila (micro) imprese italiane (fino a 9 addetti) nell’eccezionalità del tempo post-pandemico e della guerra di aggressione della Russia all’Ucraina.

I numeri chiave delle piccole imprese e dell’artigianato italiano rilevano che, attualmente, le micro imprese fino a 9 addetti sono il 95,1% delle imprese attive che, sommate alle piccole imprese (fino a 49 addetti), risultano essere il 99,4% delle imprese attive. Di queste, il 25,9% sono imprese artigiane.

Come riportato nell’introduzione al Rapporto annuale da Giulio Sapelli, presidente della Fondazione Manlio e Maria Letizia Germozzi, i dati rilevano l’efficienza e l’efficacia delle piccole e medie imprese nell’economia nazionale – e internazionale, considerando che la propensione all’esportazione è del 30,8% – sfatando l’interpretazione comune dell’esigenza che le aziende debbano avere una certa “massa critica” dimensionale per incidere sui mercati. Anzi, è proprio il diffuso sistema di micro e piccole imprese che ha consentito all’economia italiana una maggiore resilienza tra pandemia, crisi energetica ed effetti della guerra.

I dati rilevano anche la capacità di utilizzo molto elevata delle tecnologie, non solo digitali, cosa che consente di approcciare i mercati internazionali con la grande capacità di “agire artigiano”, come lo definisce Sapelli, dando significato ai territori – con il 1° posto dell’Italia in UE per PIL nelle zono costiere (50,6% contro il 36,6% media UE) e nelle zone montane (44,9% contro il 20,7% media UE) – in un’epoca di de-globalizzazione.

Le politiche sul credito d’imposta dei beni strumentali e sui bonus edilizi hanno fatto registrare una forte crescita sugli investimenti: trainano soprattutto gli investimenti in costruzioni (+13,7%), mentre quelli in beni strumentali crescono del 10,4% (media UE 2,4%).

EXPORT

Per quanto riguarda i dati dell’esportazione, calcolati in volume sui primi otto mesi del 2022, di seguito la “classifica” dei mercati maggiormente dinamici che, secondo i rilevamenti del centro studi di Confartigianato, hanno recepito prodotti made in Italy:
+23,1% Messico
+18,9% Corea del Sud
+10,5% Turchia
+7,9% India
+6,6% Stati Uniti.

Seguono Polonia e Regno Unito con +1,8%, Spagna con +0,5%.

Risultati negativi, invece, per alcuni dei tradizionali partner commerciali italiani, come Austria, con -0,8%, Germania con -2,0%, Giappone e Brasile con -2,8%, Francia con -3,0%, e Svizzera con -3,1% mentre si registrano cali più accentuati per Sudafrica (-9,0%), Cina (-11,7%) e Russia (-30,2%).

Nella bilancia di import-export pesa sostanzialmente l’aumento della bolletta energetica, mentre i prodotti tipici del made in Italy mostrano un’ampia tenuta, risultando stabile. Il tema energetico, che tanto incide sia sull’inflazione che sulla tenuta di alcuni mercati, merita un approfondimento a parte.

PRODUTTIVITÀ

Sempre più esposto alla concorrenza internazionale, nell’ultimo quinquennio (2016-2021) l’Italia ha visto una crescita del 2,4% del valore aggiunto manifatturiero, dovuta al miglioramento dell’efficienza dei processi aziendali e alla tenuta durante la pandemia. Questo miglioramento prestazionale della manifattura italiana è associato alla minore dimensione media delle aziende dal punto di vista degli addetti: 10,4 addetti per impresa in Italia; 35,7 in Germania; 14,6 in Francia. Una prestazione che non è accompagnata dallo stesso livello di servizi degli altri due paesi europei, così come dalla differenza del contesto favorevole al “fare impresa”.

ECONOMIA CIRCOLARE

Il rapporto di Confartigianato prende in considerazione le potenzialità dell’economia circolare e in particolare della transizione green delle imprese, dato che può dare un apporto rilevante all’abbattimento delle emissioni, alla riduzione dei costi legati ai rifiuti, al riciclo, riuso e riparabilità dei beni. Le aziende italiane sono ben posizionate, rispetto alla media UE, considerato che ben l’85% delle micro, piccole e medie imprese adotta misure per ridurre gli sprechi.

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