R. Striani, C. Esposito Corcione, S. Bagheri, C. Mele
Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, Università del Salento, Lecce
Particolarmente attiva nelle attività di R&S nel campo dei rivestimenti, l’Università del Salento (Lecce) genera e sfrutta commercialmente nuovi brevetti
La corrosione dei metalli rappresenta spesso la maggior parte dei costi di manutenzione di una struttura edilizia. La corrosione atmosferica produce i danni maggiori a causa dell’ossigeno e dell’umidità, che sono i principali agenti corrosivi, e dei composti di zolfo e cloruro di sodio in atmosfere marine. È solito, infatti, che in ambiente umido i materiali metallici subiscano un attacco elettrochimico. Sebbene un’importante proprietà di molti materiali metallici (alluminio, zinco, cromo, titanio, ecc.) sia la passivabilità, ovvero la capacità di formare autonomamente, a contatto con l’aria atmosferica, il c.d. “film di passività” – uno strato di ossido uniforme e molto sottile (pochi nanometri) capace di inibire la velocità di corrosione – non tutti i metalli sono in grado di passivarsi. È per tale motivo che i tradizionali trattamenti galvanici, quali la zincatura, cromatura, ramatura, nichelatura e doratura, hanno trovato fino ad oggi un vastissimo impiego, diventando processi di default per tutti i materiali metallici anche di uso quotidiano.
Tuttavia, le nuove normative di restrizione di uso di sostanze pericolose, Direttiva 2002/95/CE (Direttiva RoHS), nei processi industriali ha indirizzato fortemente il mondo della metallurgia verso la ricerca di metodi alternativi ed ecosostenibili. In tale scenario, per proteggere i metalli dalla corrosione si sta facendo strada un metodo alternativo alla passivazione che prevede l’applicazione di opportuni rivestimenti che facciano da superficie di sacrificio ed intervengano in qualità di sede preferenziale dei processi di scambio e di reazioni chimiche con gli agenti esterni, preservando il substrato metallico sottostante dal degrado. Un buon rivestimento protettivo, per essere considerato tale, deve garantire: ottime proprietà idrorepellenti per impedire il più possibile il contatto con l’acqua (veicolo preferenziale dei processi corrosivi); mantenere nel tempo una struttura flessibile per meglio adattarsi alle sollecitazioni; stabilità chimica agli acidi, ad alcali, a radiazioni UV, a calore e all’ ossidazione; resistenza agli agenti inquinanti atmosferici; sviluppo di forze adesive con il substrato; insolubilità in acqua; bassa volatilità; trasparenza (laddove richiesto), e, soprattutto, atossicità.
Generalmente, quando si parla di rivestimento si intende una pellicola ottenuta a seguito di un processo di polimerizzazione, che può essere indotta termicamente o mediante radiazioni luminose (Uv-vis). In tal caso si parla di “fotopolimerizzazione”, che rispetto alla polimerizzazione termoattivata, avviene a temperatura ambiente in tempi rapidissimi (dell’ordine di alcuni secondi a fronte delle ore o giorni necessari alla polimerizzazione termica), in assenza di solventi, garantendo un’alta qualità del prodotto finale.
Quello presentato in questo articolo è esattamente un rivestimento fotopolimerizzabile, sviluppato e brevettato dall’Università del Salento ed attualmente commercializzato con il nome di Hybrid (Linea Copernico srl). A differenza dei comuni prodotti protettivi che sono costituiti dal 90% di solvente (spesso tossico o acqua nelle soluzioni più green) e dal 10% di principio attivo (polimero), Hybrid ha una resa elevata poiché è formato dal 95% di principio attivo e non solo sfrutta le radiazioni solari per creare un film protettivo, ma è caratterizzato anche da una tecnologia che lo rende un ibrido organico-inorganico senza solventi.
Ciò che fa degli ibridi una classe di materiali più performante rispetto a quelli tradizionali è che sia la parte organica che quella inorganica sono, da sole, materiali distinti che, attraverso specifici processi di formazione, si trovano strettamente connessi l’uno all’altro in scala dimensionale nanometrica. Per tale motivo i prodotti ibridi mostrano elevate proprietà (trasparenza, protezione, idrorepellenza, resistenza meccanica e a corrosione, resistenza a radiazioni UV, adesione, resistenza a graffio, e altro), poiché le migliori proprietà dell’una e dell’altra fase agiscono sinergicamente. Gli ibridi sol-gel hanno attratto l’interesse da parte del settore delle finiture per superfici metalliche soprattutto per la possibilità di impiegare i rivestimenti ibridi come pre-trattamento alternativo all’uso del Cromo (IV) [1].
In letteratura è presente un’ampissima gamma di rivestimenti polimerici sviluppati per proteggere i substrati metallici dalla corrosione. Si tratta di: resine organiche [2,3,12–16], nanocompositi [17–22], rivestimenti inorganici [21,23], ma anche di ibridi organici-inorganici, eventualmente anche fotopolimerizzabili [1,24–30].
Sebbene Hybrid sia nato per proteggere le superfici architettoniche in pietra porosa dagli effetti disastrosi dell’acqua e del degrado ad essa connessa, anni di studio e di ricerche ulteriori hanno potuto constatare la sua efficacia anche su altri tipologie di substrato [31]. È questo il caso dei risultati sperimentali riportati nel presente articolo. Mediante varie tecniche elettrochimiche (voltammetria a scansione lineare, polarizzazioni potenziostatiche e EIS), infatti, è stato possibile dimostrare l’efficacia di Hybrid contro la corrosione di elementi metallici di zinco ed indagini chimiche e morfologiche, effettuate mediante analisi spettroscopiche (Raman e AFM), hanno evidenziato la minore suscettibilità alla corrosione dello zinco rivestito con il prodotto protettivo.
La formazione del rivestimento è stata ottenuta immergendo le lastrine di zinco per 6 minuti in Hybrid e, successivamente, sono stati esposti a radiazioni luminose mediante lampade solari per 7 ore. Infine, è stato effettuato un trattamento termico a 140°C per 1h al fine di favorire la completa reticolazione del rivestimento sul substrato metallico. I rivestimenti realizzati con la procedura indicata, misurati con un micrometro digitale, sono risultati pari a 30 ± 3 micron.
Per valutare l’efficacia del rivestimento ibrido sulla resistenza a corrosione dei campioni di zinco, sono stati eseguiti diversi test elettrochimici a temperatura ambiente utilizzando un potenziostato/galvanostato Parstat 2273. La caratterizzazione elettrochimica è stata effettuata eseguendo voltammetria a scansione lineare (LSV), test di potenziale a circuito aperto (OCP), polarizzazioni potenziostatiche (PS) e spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS).
Le curve di voltammetria a scansione lineare (LSV) ottenute per campioni di zinco senza e con rivestimento sono riportati in figura 1(a). Dalle curve si vede che, dopo la regione di attività, all’aumentare del potenziale la densità di corrente rimaneva pressoché costante, indicando la possibile formazione di uno strato di ossido sulla superficie. Come atteso, con il campione di zinco nudo si è osservato un valore di Ecorr più negativo e correnti molto più elevate rispetto al campione rivestito, che quindi presentava una resistenza a corrosione nettamente migliore. I dati dimostrano quindi come il rivestimento sia risultato protettivo, riducendo significativamente il tasso di corrosione del campione di zinco.
Il potenziale OCP per i campioni esposti all’elettrolita è stato registrato per un tempo di immersione di 30 minuti fino a raggiungere un valore stazionario. Immediatamente dopo l’immersione, il potenziale dello zinco non trattato ha iniziato a diminuire rapidamente e dopo circa 1000 secondi ha raggiunto un valore stazionario, mentre per il campione rivestito il potenziale è rimasto quasi stabile durante l’intera misura. A fine test, i valori OCP per lo zinco nudo e rivestito erano pari a -1,030 V e -1,010 V, rispettivamente (inset di figura 1(a)).
Fig. 1
(a) Curve di voltammetria a scansione lineare (LSV) di campioni di zinco nudo e rivestito in soluzione di NaCl 1 M. Inset: potenziale di circuito aperto monitorato prima delle LSV;
(b) densità di corrente rilevata nel tempo in seguito a misure potenziostatiche al potenziale di -0,8 V su campioni di zinco nudo e rivestito in soluzione di NaCl 1 M.
Le prove potenziostatiche (PS), effettuate per 60 minuti al potenziale selezionato di -0,8 V, valore in corrispondenza del quale si aveva una densità di corrente pressoché costante nelle LSV, hanno avuto lo scopo di illustrare in modo più evidente le differenze tra le densità di corrente per i campioni con e senza rivestimento (figura 1(b)). Il rivestimento permette, infatti, di diminuire il flusso di corrente elettrica che attraversa la superficie del campione, preservandolo, quindi dalla corrosione.
Dai testi di spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS) è risultato evidente come in presenza del rivestimento ibrido i valori di resistenza registrati fossero molto più elevati rispetto a quelli raggiunti dai campioni non trattati, come riportato dai diagrammi di Nyquist e dai valori dei parametri di fitting in figura 2(a) e (c), rispettivamente.
Gli effetti della corrosione sono stati valutati qualitativamente mediante spettroscopia Raman, i cui spettri sono riportati in figura 3. In seguito all’attacco corrosivo, gli spettri dei campioni di zinco sia con rivestimento che senza rivestimento presentano picchi evidenti a 265 cm-1 e a 400 cm-1 ed altri a circa 730 cm-1 e a 900 cm-1, presumibilmente corrispondenti alla formazione di Zn(Cl)2(Zn[OH]2)4 (simonkollite) [32,33]. La formazione di simonkollite può essere confermata anche dai picchi a 3460 cm-1 e 3495 e cm-1, assegnati a modi di vibrazioni OH. Il picco a 1078 cm-1 visibile nello spettro dello zinco corroso può essere attribuito a carbonato di zinco [32]. Inoltre, nello spettro dello zinco rivestito dopo corrosione permangono visibili le bande caratteristiche del rivestimento, anche se meno evidenti. Ciò lascia presupporre che, in seguito all’attacco, il rivestimento resista, rallentando la passivazione, ma senza bloccare la corrosione.
Le immagini AFM, acquisite mediante microscopio a forza atomica (Bruker Multimode 8) sui campioni di zinco con e senza rivestimento, prima e dopo la corrosione hanno evidenziato come prima della corrosione la superficie del campione con Hybrid appare più liscia ed uniforme rispetto a quella del campione di zinco tal quale. Dopo la corrosione la superficie di quest’ultimo risulta, invece, gravemente danneggiata (fig. 4), come evidenziato anche dai valori di rugosità superficiale (Rq) riportati in Tabella 1.
In conclusione, il prodotto commerciale Hybrid, nato e brevettato come prodotto protettivo per superfici lapidee, ha mostrato anche una buona capacità anticorrosiva se applicato su materiali metallici, come lo zinco. Un’ampia caratterizzazione ha potuto dimostrare che il rivestimento è capace di proteggere il substrato metallico limitando fortemente la densità di corrente di corrosione e conservandosi anche dopo attacco corrosionistico.
Fig. 2
(a) Diagramma di Nyquist per campioni di zinco nudo e rivestito a OCP in soluzione di NaCl 1 M;
(b) circuito equivalente;
(c) parametri dei fit.
Fig. 3 – Spettri Raman dei campioni di zinco senza rivestimento e rivestito, prima e dopo attacco corrosivo a -0,8 V per 60 minuti in soluzione di NaCl 1 M.
Fig. 4 – Immagini AFM dei campioni di zinco senza rivestimento e rivestito, prima e dopo attacco corrosivo a -0,8 V per 60 minuti in soluzione di NaCl 1 M.
Tabella 1 – Rugosità superficiale estratta dalle immagini AFM dei campioni di zinco senza rivestimento e rivestito, prima e dopo attacco corrosivo a -0,8 V per 60 minuti in soluzione di NaCl 1 M.
Campione Zinco
Rq prima dell’attacco corrosivo (Valore medio ± dev. standard) (nm) 2,99 ± 1,04
Rq dopo l’attacco corrosivo (Valore medio ± dev. standard) (nm) 32,52 ± 14,45
Campione Zinco rivestito
Rq prima dell’attacco corrosivo (Valore medio ± dev. standard) (nm) 1,01 ± 0,37
Rq dopo l’attacco corrosivo (Valore medio ± dev. standard) (nm) 2,28 ± 0,72
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